Chi soffre di elevati livelli di ansia sociale sa bene che esporsi a situazioni ansiogene non è che una parte del problema. Esibirsi in una performance o avviare un’interazione sociale, con la paura di sudare, tremare, arrossire o balbettare rappresentano, infatti, solamente gli aspetti più pubblici e manifesti del disturbo. È ormai noto che il disagio in realtà è alimentato e sostenuto anche da processi interni, personali e nascosti, che si accendono proprio dietro le quinte, quando si chiude il sipario e la persona si trova “a tu per tu” con sé stessa.
In particolare, sembrano avere un ruolo centrale nel mantenimento del Disturbo d’Ansia Sociale (DAS) due processi di pensiero denominati rimuginio e ruminazione. Il rimuginio è un meccanismo che si attiva prima di una performance o di un evento sociale e consiste nell’anticipazione di quello che accadrà. Solitamente, a causa della tendenza alla catastrofizzazione, lo scenario immaginato sarà tra i peggiori possibili, con la rappresentazione di errori, gaffe, figuracce e quant’altro, che avrà come effetto quello di aumentare esponenzialmente l’ansia anticipatoria.
La ruminazione, invece, chiamata anche post-event processing, è un processo che si attiva dopo l’esibizione o l’interazione sociale e consiste nel pensare e ripensare alla performance da poco conclusa, concentrandosi in particolare su ciò che è andato male, sulle inadeguatezze e sugli errori, reali o presunti (Clark e Wells, 1995; Kocovski e Rector, 2007). La persona è impegnata a ripercorrere continuamente a livello mentale la propria esibizione, concentrandosi sugli aspetti negativi e auto-criticandosi, con un effetto di demoralizzazione, scoraggiamento e rinforzo dell’immagine di sé come perdente, inadeguato e ridicolo. La ruminazione, oltre ad avere effetti maladattivi sul tono dell’umore (Ottaviani et al, 2011), è stata messa in relazione anche ad un peggioramento dello stato di salute: è stata associata, in particolare, all’alterazione di un parametro fisiologico denominato variabilità inter-battito, un indice che riflette la funzionalità dell’organismo (Thayer et al, 2012). Durante la ruminazione, infatti, è come se la persona fosse impegnata nella risoluzione di un problema reale e attuale e, a livello fisiologico, risponde come se si trovasse di fronte ad un vero e proprio pericolo.
Un interessante studio quasi- sperimentale condotto con studenti dell’Università La Sapienza di Roma (Liguoro e Couyoumdjian, 2017) ha indagato i diversi effetti della ruminazione in persone con DAS e in persone non ansiose. I due gruppi sono stati esposti ad una condizione di attivazione emotiva e alla successiva induzione di ruminazione.La sessione di esposizione era articolata in differenti fasi e prevedeva la lettura ad alta voce di brani di letteratura di difficoltà crescente, in condizione di registrazione (microfoni, telecamere) e di successiva valutazione della performance. Il gruppo non ansioso e il gruppo di fobici sociali hanno ricevuto istruzioni diverse circa la ruminazione post-evento. Al gruppo di social-fobici è stato chiesto di ripensare alla propria performance nella prova di lettura e di rievocare un episodio passato in cui avessero provato le stesse sensazioni di ansia, indicando quanto peso avessero questo tipo di prestazioni sulla propria immagine di sé. Al gruppo non ansioso, invece, è stato chiesto di soffermarsi solo su quella singola prestazione e sulle sensazioni ad essa associate.
Tenuto conto di alcuni limiti metodologici evidenziati dagli stessi autori, la ricerca mostra comunque risultati interessanti: in linea con le ipotesi di partenza,è emerso che,in seguito alla ruminazione, le persone con DAS manifesterebbero effetti maggiormente negativi rispetto a quelli registrati nel gruppo non ansioso, in termini sia di valutazione del valore personale che di abbassamento del tono dell’umore. La rilevazione delle emozioni negative effettuata dopo la ruminazione post-evento ha, infatti, indicato differenze significative tra i due gruppi: i social fobici hanno manifestato livelli più intensi nelle emozioni di vergogna e tristezza, nei vissuti di vulnerabilità, ridicolezza e incompetenza e nella tendenza al pianto. Al contrario le persone non ansiose, focalizzandosi sulle sensazioni positive scaturite dalla percezione di una buona performance, hanno registrato più alti punteggi nell’emozione di felicità, manifestando gli effetti positivi della riflessione indotta dal processo ruminativo, che si accompagna ad un innalzamento dell’autostima e alla conferma circa le proprie capacità personali e sociali.
La differenza potrebbe consistere proprio nella diversa tipologia di ruminazione adottata: mentre le persone non ansiose sembrano in grado mettere in atto una “ruminazione positiva”, consistente in una riflessione sulla singola performance in cui si complimentano con se stesse per la buona riuscita (chiamata anche basking = ruminazione sul presente; Carver, 1996), i social fobici tendono a riproporre i bias cognitivi propri dei disturbo. La ruminazione post- evento delle persone con ansia sociale risentirebbe, in particolare, del bias di attenzione selettiva, che induce la persona a focalizzarsi solo sulla parte più scadente della prestazione, appannando tutto il resto e mettendo in evidenza errori ed incertezze, amplificandone così la salienza e la gravità. A questo si aggiunge il bias di memoria, che consiste nella rievocazione selettiva di simili episodi negativi del passato, che hanno l’effetto di rinforzare le credenze negative su se stessi, minando la propria autostima e la percezione di autoefficacia.
Ecco perché, all’interno di un più ampio intervento psicoterapico, una parte importante del lavoro consiste proprio nell’apprendimento di strategie finalizzate a ridurre il processo disfunzionale di ruminazione post-evento e spezzare così il circolo vizioso che esso ricopre nel mantenimento del disturbo.
Articolo della dottoressa Martina Rosadoni
Riferimenti bibliografici:
Carver, C.S. (1996). Goal engagement and the human experience. In RS Wyer Jr (a cura di) Ruminative thoughts: Adv. in social cognition, vol. IX, pp. 49-61. Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah.
Clark, D.M., & Wells, A. (1995). A cognitive model of social phobia. In R. Heimberg, M. Liebowitz, D. A. Hope& F.R. Schneier (Eds) Social Phobia: Diagnosis, Assessment and Treatment. New York: Guilford Press.
Kocosky, N.L., &Rector, N.A. (2008). Post- Event Processing in Social Anxiety Disorder: Idiosoncratic Priming in the Course of CBT. Cognitive Therapy and Research, 32, 23-36.
Liguoro, A.M., & Couyoumdjian, A. (2017). Effetti del pensiero ripetitivo sul valore personale e sul tono dell’umore nella fobia sociale. Cognitivismo clinico, 14(2), 131-152.
Ottaviani, C., Shapiro, D, &Fitzgerald L.(2011).Rumination in the laboratory: what happens when you go back to everyday life? Psychophysiology, 48(4), 453-61
Thayer, J.F., Ahs, F., Fredrikson, M.,Sollers, J.J.III, Wager, T.D. (2012). A meta-analysis of heart rate variability and neuroimaging studies: implications for heart rate variabilityas a marker of stress and health.Neuroscencie & Biobehavioral Review, 36(2), 747-56.
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