Le caratteristiche che contraddistinguono il DAS rispetto ad altre problematiche psicologiche sono la paura del giudizio da parte degli altri e un elevato numero di evitamenti di situazioni sociali. Tuttavia, anche all’interno di questa definita categoria di disturbo possiamo trovare alcune specifiche differenze e quindi distinguere più tipi di ansia sociale.
È già stato ipotizzato che possano esistere più sottotipi di ansia sociale a seconda dei diversi “core fears” che sottostanno allo sviluppo e al mantenimento del disturbo. I core fears devono essere intesi come le paure di base che innescano le credenze negative su se stessi e i successivi comportamenti protettivi. Si tratta sostanzialmente di convinzioni maladattive che si hanno sulla propria persona e sulle proprie capacità e che fanno sentire chi soffre di ansia sociale carente o inadeguato riguardo ad aspetti specifici del proprio sé. Gli aspetti generalmente considerati carenti o inadeguati da chi soffre di DAS sono la competenza sociale, l’aspetto fisico e il rivelare agli altri i propri sintomi ansiosi (Moscovitch, D. A., 2009). Naturalmente queste paure di base non si escludono a vicenda e possono coesistere nello stesso momento. Tuttavia, si è notato una forte predisposizione personale per uno di questi tre cores rispetto agli altri due. Un recente studio (Kodal et al., 2017) ha indagato la possibile esistenza di sottotipi diversi del disturbo di ansia sociale partendo dalla distinzione di queste paure di base, cercando di confermare i dati ottenuti da precedenti ricerche (Bögel et al. 2010; Coxe t al., 2008).
Già nell’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM-5, il manuale diagnostico a cui quasi tutti i clinici fanno riferimento), viene introdotto, all’interno del disturbo di ansia sociale, uno “specifier”: una caratteristica, cioè, che distingue uno dei tipi di ansia sociale chiamato performance-only. Le persone che soffrono di questa specifica sottocategoria del disturbo riscontrano maggiormente problemi in situazioni in cui è richiesta una prestazione di fronte ad altre persone, che siano lì apposta per valutare o meno (parlare in pubblico, rispondere a delle domande, eseguire un compito o un’esercitazione ecc.).
Oltre al sottotipo prestazionale, dai risultati della ricerca di Kondal e colleghi, emergono altri due tipi di ansia sociale. Quelli che chiameremo interpersonale (basato sulla paura dell’interazione) e osservazionale (basato sulla paura di essere osservati).
La paura delle interazioni sociali può essere, così, considerata un tratto distintivo di un determinato sottotipo di DAS. Si manifesta soprattutto in persone che temono il contatto con l’altro, maggiormente se estraneo. Questa sottocategoria può essere spesso interpretata come la classica definizione della persona timida e introversa, in cui il timore di non essere capace di relazionarsi adeguatamente guida molti dei propri scambi sociali, che risulteranno, in questo modo, scarsi in quanto a qualità e frequenza: il rischio è quello di limitare sempre più le occasioni di esposizione, fino a raggiungere (nei casi peggiori) un isolamento e un ritiro sociale. Alcuni esempi di situazioni temute sono le seguenti: iniziare una conversazione, chiedere qualcosa a qualcuno, incontrarsi con persone o gruppi di persone, esprimere un’opinione, parlare con qualcuno che ha autorità, non riuscire a rifiutare qualcosa ecc.
La paura di essere al centro dell’attenzione e giudicati per il proprio aspetto fisico, invece, è una caratteristica che accompagna chi appartiene al sottotipo osservazionale. La sola possibilità di essere messo in mostra ed esposto a valutazione e a giudizio dell’altro, pur senza fare niente, è il timore più grande di chi soffre di questo sottotipo di DAS. La componente fisica deve, sì, essere presa in considerazione, ma non rappresenta il solo nucleo problematico per chi appartiene a questa sottocategoria. Come ben sappiamo il timore di esporre il proprio corpo o, addirittura, il disgusto della propria forma fisica è un fattore che si riscontra in molte altre psicopatologie, dove questi aspetti hanno un ruolo più centrale. In questo caso la preoccupazione riguarda tutti i campi dell’apparenza. Dalla vergogna che può scaturire riguardo al proprio modo di camminare a come ci si veste o a come portiamo i capelli. Generalmente le situazioni che creano maggiore apprensione sono quelle in cui sono presenti molte altre persone che potrebbero semplicemente notare la propria presenza. Alcuni esempi sono il mangiare in pubblico, fare la fila, partecipare alle lezioni di educazione fisica, prendere parte a feste, camminare lungo strade affollate, bere una birra al pub ecc.
Come precedentemente riportato, queste sottocategorie, si rifanno alle paure di base (core fears) che possono essere indagate in chi soffre di ansia sociale. In particolare chi si ritiene maggiormente inadeguato rispetto alle proprie competenze sociali risulterà avere credenze e comportamenti più in linea con il sottotipo interpersonale. Chi, invece, ritiene che il proprio aspetto fisico possa esporlo a critiche e giudizi. Per questo evita situazioni che possano metterlo in mostra, rientra nella sottocategoria osservazionale. In ultimo, chi ritiene che mostrare sintomi ansiosi durante prestazioni sia un grave problema e un ostacolo rispetto all’esito della stesse, possiede in misura maggiore caratteristiche relative al sottotipo prestazionale (la paura è quella che al momento di agire potrebbero insorgere sintomi ansiosi come arrossire, balbettare, sudare eccessivamente o tremare in modo da compromettere effettivamente l’esito della prestazione).
Lo studio, effettuato per indagare tali tipi di ansia sociale, si è rivolto a soggetti con età compresa tra gli 8 e i 15 anni. I ricercatori hanno così individuato che i cores fears hanno un’insorgenza molto precoce e che si mantengono abbastanza stabilmente, in maniera gerarchica, per diversi anni. Dai risultati si evince che il nucleo delle paure di base, una volta formato, rimane pressoché lo stesso per molto tempo. Tuttavia, altri aspetti critici hanno un’evoluzione negativa che possiede una centrale importanza nel determinare la gravità del disturbo. Con il passare del tempo, l’accumularsi di esperienze di vita e la sperimentazione di eventi più o meno traumatici si incorre sempre più maggiormente in generalizzazioni dei contesti in cui si prova ansia e un’oscillazione sempre più grande tra le sottocategorie in relazione a determinate situazioni. Ciò comporta che il crescente numero delle situazioni temute possa portare ad un incremento degli evitamenti, con conseguente compromissione della qualità della vita. Inoltre, rendendo i sottotipi del disturbo sempre più sfumati tra loro, il trattamento e la remissione degli stessi potrebbero risultare più lunghi e difficoltosi, con un aumento degli esiti negativi.
La diagnosi e il trattamento precoci rimangono, dunque, i più validi strumenti per far fronte al disturbo di ansia sociale. Purtroppo, i dati ci dicono che tra il periodo di insorgenza del disturbo e l’effettiva richiesta d’aiuto passano in media almeno 16 anni. Durante questo periodo le problematiche si cronicizzano e si espandono in differenti contesti traducendosi in un decorso più gravoso.
Bibliografia essenziale:
Bögels, S. M., Alden, L., Beidel, D. C., Clark, L. A., Pine, D. S., Stein, M. B., et al. (2010). Social anxiety disorder: Questions and answers for the DSM-V. Depression and Anxiety, 27, 168–189. http://dx.doi.org/10.1002/da.20670.
Cox, B. J., Clara, I. P., Sareen, J., & Stein, M. B. (2008). The structure of feared social situations among individuals with a lifetime diagnosis of social anxiety disorder in two independent nationally representative mental health surveys. Behaviour Research and Therapy, 46, 477–486. http://dx.doi.org/10.1016/j.brat.2008.01.011.
Kodal, A., Bjellanda I., Gjestadb R., Wergelanda G.J., Havike O.E., Heiervangf E.R., Fjermestadg K. (2017). Subtyping social anxiety in youth. Journal of Anxiety Disorders ,49, 40–47.
Moscovitch, D. A. (2009). What is the core fear in social phobia? A new model to facilitate individualized case conceptualization and treatment. Cognitive and Behavioral Practice, 16, 123-134. http://dx.doi.org/10.1016/j.cbpra.2008.04.002.
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